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Agricoltura biologica e sostenibilità nelle aree rurali: quali politiche?
1 Università degli Studi di Urbino, 2 FIRAB
Agrimarcheuropa, n. 3, Settembre, 2012
Introduzione
L’analisi dell'evoluzione della Politica Agraria Comunitaria (PAC) evidenzia la crescente attenzione rivolta al ruolo dell’agricoltura nel garantire un determinato livello di qualitg della vita ai cittadini, residenti nelle zone rurali (e non). Così, accanto alla produzione di alimenti, è divenuta sempre più rilevante quella di esternalità positive di carattere ambientale e socio-economico; ciò si è verificato soprattutto in relazione alla definizione degli obiettivi in quanto, sul piano dell’attuazione delle misure, la PAC, nel corso degli anni, non ha sostanzialmente modificato la situazione in cui un numero limitato di aziende assorbe una larghissima quantità di risorse, sulla base dell’estensione territoriale, piuttosto che dei benefici sociali forniti e tantomeno della tecnica colturale utilizzata.
Se si dovessero perseguire le premesse, contenute anche nella proposta di riforma attualmente in discussione, appare chiaro che l’agricoltura biologica rappresenta il modello produttivo più efficace nel promuovere un processo di sviluppo sostenibile, in termini ambientali, economici e sociali.
Questo lavoro si propone di analizzare il contributo dell'agricoltura biologica nella produzione dei beni pubblici richiesti dalla società e le sue dinamiche di mercato e settoriali, al fine di identificare i principali nodi da sciogliere per mantenere, attraverso la diffusione di questo modello, la vitalità delle aree rurali, con particolare riferimento a quelle definite, forse con troppa superficialità, marginali.
Le esternalità dell’agricoltura biologica
L'impatto ambientale di diverse pratiche agronomiche e diversi sistemi produttivi agricoli è stato valutato in numerosi studi, che, sebbene difficilmente generalizzabili, in quanto riferiti a specifiche realtà, particolari colture/allevamenti o determinate tecniche agronomiche, mostrano gli effetti positivi dell'agricoltura biologica, in termini di emissioni di gas serra, assorbimento energetico, consumo e qualità delle acque, adattabilità ai cambiamenti climatici, tutela della biodiversità e del paesaggio. Ad esempio, le quantità di carbonio fissato nel terreno risultano significativamente elevate nei sistemi agricoli biologici, specialmente in presenza di zootecnia (Tabella 1) o con una particolare combinazione di pratiche agronomiche, proprie del metodo biologico, quando applicato nei suoi principi fondanti (Tabella 2), peraltro non tutti obbligatori nell'applicazione del Reg. (CE) 834/07.
Tabella 1 - Valori medi di carbonio sequestrato nel terreno in diversi sistemi agricoli (kg/ha/anno)
(1) Convenzionale: mais e soia in rotazione senza sovesci e con uso di input di sintesi
(2) Biologico senza zootecnia: frumento, mais, soia con sovesci di veccia su mais e segale su soia
(3) Biologico con zootecnia: medica da foraggio, frumento, mais, soia e utilizzo del compost prima del mais
Fonte: FIBL, 2007
Tabella 2 – Stima del carbonio sequestrato nel terreno per tipo di intervento agronomico (kg/ha)
Fonte: FIBL, 2007
In altri termini, oltre alla sostituzione dei prodotti chimici di sintesi utilizzati nell'agricoltura convenzionale con i prodotti organici ammessi, è proprio l'attuazione dei suoi principi fondanti che rendono virtuoso il metodo biologico, in termini ambientali ma anche di risultati produttivi e ricaduta sociale. Tali principi implicano la sostituzione della cultura della nutrizione diretta della pianta, che considera il terreno come un semplice substrato, con quella della “nutrizione del suolo per nutrire la pianta”, che concepisce il suolo alla stregua di un organismo vivente, che ha nella sostanza organica il suo regolatore metabolico. L'aumento della complessità dell’ecosistema suolo-azienda, mediante la cura della sostanza organica, la diversità colturale (connessa alla pratica degli avvicendamenti) e il collegamento con l’allevamento, diventa, così, indispensabile per incrementare il livello di fertilità e di resilienza (FIBL, 2008).
In termini di sostenibilità generale, è importante richiamare l'attenzione sul fatto che i migliori risultati si ottengono quando i sistemi agricoli biologici sono accompagnati dall'adozione, da parte dei consumatori, di stili alimentari corretti. La riduzione dell'apporto di calorie e di proteine animali e il consumo di prodotti locali rappresentano un passaggio difficile ma inderogabile, per contenere l’emissione di gas serra, ridurre l'inquinamento, ma anche per promuovere lo sviluppo rurale e garantire la salute dei cittadini. Peraltro, anche rispetto alla qualità dei prodotti, l'agricoltura biologica sembra fornire risultati migliori rispetto a quella convenzionale, soprattutto per l'assenza di residui indesiderati e per la maggiore presenza di principi nutritivi importanti per la salute (FIBL, 2007), aspetti importanti di una dieta sana ed equilibrata, come confermato anche da numerosi lavori dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione.
L’agricoltura biologica: dinamiche di mercato e settoriali
Il mercato del biologico registra un costante sviluppo in diversi Paesi, inclusa l'Italia, dove il livello del fatturato ha raggiunto, nel 2010, i 1.550 milioni di euro, con un incremento del 14,8%, rispetto all'anno precedente. I consumi biologici, che rappresentano una quota intorno al 2% della spesa alimentare, risultano significativi e tendenzialmente crescenti, con tassi stimati intorno all'11,6% nel 2010 e all'8,9% nel 2011, seppur con andamenti differenziati a seconda delle categorie considerate; ciò conferma il forte interesse verso questi prodotti, contrariamente a quanto avviene per quelli agroalimentari in generale, che risultano più sensibili al perdurare della crisi economica. Il 71% circa del valore degli acquisti domestici è concentrato nelle regioni settentrionali, ma gli incrementi più significativi si registrano in quelle del Sud-Italia; in costante crescita risultano le vendite nella GDO, nel dettaglio tradizionale e specializzato, così come nei cosiddetti canali alternativi (privati e istituzionali), soprattutto nelle mense biologiche e nei Gruppi di Acquisto Solidale (www.ismea.it).
L'aspetto cruciale da evidenziare è che l'espansione del mercato, che finalmente negli ultimi anni ha coinvolto anche la domanda interna, non è stata accompagnata da un generale potenziamento del sistema produttivo nazionale, quanto da un aumento della dipendenza dall'estero.
A fronte di una perdita generale di aziende agricole (pari a oltre il 30% del totale in soli dieci anni), specialmente nelle aree montane e collinari, il numero di produttori biologici esclusivi si è ridotto, nel 2011, del 2%, rispetto al 2010, sebbene con dinamiche regionali molto differenziate, anche in funzione dagli aiuti stanziati dai Programmi di Sviluppo Rurale (PSR). Le aziende zootecniche, in particolare, sono diminuite, nel 2011, del 6,4%, rispetto all'anno precedente, con tassi in controtendenza solo in alcune regioni settentrionali (Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia) in Calabria e in Sardegna. Al mancato sviluppo del sistema produttivo, si è contrapposto il potenziamento dell'industria di trasformazione e dell'importazione (www.sinab.it). Pur in presenza di trend contrastanti nei diversi comparti, le importazioni sono nuovamente cresciute, dopo la flessione del 2009; ciò vale per quelle provenienti dai Paesi non in regime di equivalenza e da quelli in regime di equivalenza o da altri Paesi dell'Unione Europea (anche di origine extra comunitaria) (Rete Rurale Nazionale, 2011). È aumentata così l'immissione sul mercato di prodotti (cereali, ortofrutta, olio d'oliva) che offrono garanzie inferiori in termini di standard di qualità rispetto a quelli europei, in quanto ottenuti nel rispetto di un disciplinare, spesso fornito dallo stesso organismo di controllo, che si intende equiparato al Regolamento dell'UE. Peraltro, sul fronte delle esportazioni, l'Italia è sicuramente tra i paesi leader a livello mondiale, in quanto una parte significativa della produzione biologica (di indubbia eccellenza e con spiccata caratterizzazione Made in Italy) viene indirizzata verso i paesi europei (soprattutto Germania, Gran Bretagna, Francia), gli Stati Uniti, il Giappone e, recentemente, anche verso Australia, America Latina e paesi asiatici (FIRAB, 2011).
Gli andamenti dei flussi commerciali evidenziano, quindi, le opportunità di ampliamento del mercato interno per molte produzioni nazionali, ma, allo stesso tempo, confermano la crescente concorrenza dei prodotti esteri, che, tra l'altro, è destinata ad aumentare con l'approvazione del Regolamento di esecuzione UE n. 508/2012, che introduce alcuni cambiamenti nelle regole sull'importazione, estendendo il principio dell'equivalenza a un numero molto elevato di Paesi e conferendo una maggiore rilevanza all'azione degli Organismi di controllo. Una sostituzione anche parziale delle importazioni da parte dell'offerta italiana potrà realizzarsi solo mediante un deciso rafforzamento del sistema produttivo e la ridefinizione del modello di consumo a favore della stagionalità e della territorialità.
Quali politiche per il biologico?
Considerando i servizi ambientali e socio-economici offerti alla collettività, nonché le interessanti dinamiche di mercato (nazionale ed estero), l'agricoltura biologica avrebbe dovuto costituire il modello di sviluppo rurale da costruire e sostenere dalle politiche definite a livello Europeo e attuate dalle Regioni. Le scelte realizzate dalle Istituzioni coinvolte, soprattutto attraverso i PSR, sostanzialmente condivise dalle associazioni agricole di categoria, hanno portato, invece, alla difesa di un sistema produttivo, ingessato nella insostenibile logica della competizione basata sui costi di produzione; ciò ha contribuito a determinare l'espulsione delle piccole aziende agricole che, storicamente, hanno caratterizzato soprattutto i territori montani e collinari e che più di altre hanno garantito la tipicità delle produzioni, la salvaguardia della biodiversità e del paesaggio e, soprattutto, il governo di quel territorio, maggiormente esposto ai rischi di erosione e degrado, mediante interventi di pulitura dei fossi, regimazione delle acque e piantumazione. Questa logica è stata applicata anche al biologico, per il quale si va affermando un modello di produzione e consumo sempre più “omologato” a quello dell'agricoltura convenzionale, con crescente importanza del commercio intra-industriale e conseguente allentamento del legame tra prodotto e territorio di origine, che ne compromettono la sostenibilità economica, sociale e ambientale.
Al grave ritardo nella definizione di politiche agricole in grado di declinare la competitività come capacità di abbinare alla produzione di alimenti, la tutela della salute umana e delle risorse naturali, garantendo, allo stesso tempo, un giusto livello di reddito agli imprenditori, si aggiunge una incapacità storica di sostenere il settore del biologico mediante la fornitura di servizi per migliorare l'efficienza della filiera e l'organizzazione di mercato. In particolare, il trasferimento delle competenze necessarie per attivare un sistema produttivo del tutto coerente con i principi dell'agricoltura biologica è sostanzialmente precluso dall’assenza di una scuola italiana in materia, fondata su un modello diffuso di ricerca e sperimentazione, e di corsi di laurea specialistici, dallo smantellamento delle Agenzie Regionali per lo Sviluppo Agricolo e dall’abbandono delle attività di assistenza tecnica da parte delle associazioni di categoria.
In questo contesto, la contrazione (o il mancato sviluppo) del comparto produttivo biologico è inevitabile, il che appare paradossale se si considera la crescita della domanda interna ed esterna. A farne le spese sono proprio le aziende di montagna e di collina (che avrebbero potuto trovare nel biologico valide occasioni di mercato per proseguire nel loro ruolo di governo del territorio) e, in particolare, quelle caratterizzate dalla presenza di zootecnia, che rappresenta il settore maggiormente trascurato dalla politica agricola, tesa a difendere un modello di allevamento energivoro, inquinante, in competizione con l'alimentazione umana e in grande difficoltà nel garantire il benessere animale. Sarebbero, invece, proprio le zone montane o, più in generale, quelle marginali, che potrebbero dare il giusto indirizzo all'evoluzione di una zootecnia sostenibile e valorizzata dal modello biologico. L'allevamento estensivo basato sul pascolo prevede, infatti, che le mandrie trovino direttamente sul territorio la parte più importante della loro razione alimentare, invece di consumare cereali e proteaginose, in quanto “progettate” per trasformare in energia i foraggi, cioè i prodotti più semplici della fotosintesi. Ciò garantisce non solo il benessere animale e una migliore qualità delle produzioni, ma anche il mantenimento, per quei territori considerati marginali rispetto al modello agricolo convenzionale, della loro vocazionalità e della loro vitalità.
Le occasioni per sostenere la buona pratica biologica e, tramite questa, il ruolo di governo del territorio, soddisfacendo anche le motivazioni salutistiche alla base delle scelte dei cittadini a favore di questo settore, sarebbero molte, a partire dalla riforma della PAC e dalla revisione dei PSR, considerando anche la questione cruciale della relazione esistente tra pratiche di gestione responsabile delle risorse naturali e lotta ai cambiamenti climatici discussa nella Conferenza delle Nazioni Unite “Rio+20”. Ma, ancora una volta, il passaggio dai documenti preparatori, al dibattito politico, all'attuazione delle misure non sembra cogliere il bisogno di cambiamento che si avverte a livello sociale, prefigurando l'ennesimo fallimento istituzionale nel promuovere lo sviluppo sostenibile delle diverse aree rurali.
Riferimenti
FIBL (2007), Qualità e sicurezza dei prodotti biologici. Sistemi di produzione a confronto, AIAB, Roma.
FIBL (2008), L’azienda biologica ha un maggiore potenziale d’adattamento ai cambiamenti climatici?, AIAB, Roma.
FIRAB, ISMEA (2011), Indagine sull'export nel mercato interno dell'Unione Europea del settore biologico italiano, Biofach 2012.
Rete Rurale Nazionale (2011), Bioreport, Roma.